Sebbene oltre un secolo fa era considerata "da poveracci" perché rappresentava palesemente la vita all'aria aperta di chi doveva lavorare per vivere, a me l'abbronzatura piace.
Cambiato il suo valore simbolico, quasi diametralmente oggi chi è abbronzato passa per quello che può stare sempre in vacanza senza lavorare, a me toglie il pallore grigiastro invernale, quello che nemmeno il trucco nasconde, mi sembra faccia risaltare gli occhi chiari e i capelli biondi e mi dia un'aria decisamente più sana.
Però quest'anno, col fatto che in vacanza ci sono stata praticamente a fine agosto, la "sfoggio" poco, non solo perché tra ferie da smaltire e permessi vari continuo a lavorare più da casa che in presenza ma soprattutto perché ormai le giornate si sono decisamente accorciate e rinfrescate, i pantaloni lunghi non sono una sofferenza e una felpettina sulle spalle in pausa caffè non ci sta male.
Vero, è ancora abbastanza caldo da girare nelle ore centrali e serali in maniche corte ma resto dell'idea che sia meglio andare in ferie a luglio, nonostante ormai da quattro estati prendere il sole sul balcone in pausa pranzo e nei fine settimana sia diventata una piacevole e rilassante abitudine, ovviamente con la protezione 50.
E anche se potrei ancora godere di qualche decina di minuti ogni giorni, considerati i mediamente 25°, la scuola è ricominciata e trascorro questo tempo a preparare il pranzo per il diciottenne che torna a casa alle 14.30. Ovviamente dopo aver mangiato io perché la mia sosta non coincide col suo rientro. Il ventenne no, mangia in mensa aziendale.
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