mercoledì 28 ottobre 2020

Il trascorrere del tempo

 Il platano davanti alla finestra della mia camera era spoglio quando oltre sette mesi fa ho iniziato lo smart working, come viene inglesemente definito il telelavoro, e ora sta nuovamente ingiallendosi velocemente, le foglie svolazzanti vanno a ricoprire l'asfalto ai suoi piedi. Il tempo è trascorso, c'era l'ora solare, c'è stata quella legale, è tornata l'ora solare, il riscaldamento ha nuovamente iniziato a funzionare.

Ma un calendario è rimasto fermo a marzo, quello alle spalle della mia scrivania, in ufficio, dove mi sono recata ieri mattina per un aggiornamento necessario del pc aziedale.


Una manciata di ore trascorsa in pressoché totale solitudine, due parole scambiate velocemente con il portinaio, i centralinisti e l'addetta ai servizi interni mentre la macchina acquisiva nuovi software e nuove impostazioni. E gli scatoloni riempiti di quegli effetti personali che facevano di quella scrivania una seconda casa, lo spazzolino, il piatto per il pranzo, la tazzina di ceramica per il caffè, gli appunti raccolti nei 21 anni che ho trascorso lì. Due scatoloni abbondanti finiti nel bagagliaio della macchina e ora in sala che attendono di essere svuotati e organizzati, dove uno potrebbe rifinire in un qualche ufficio, lì o altrove. Forse.

Perché la metà delle scrivanie non è utilizzabile secondo le attuali norme aziendali:

E nei corridoi, sulle porte dei bagni, davanti agli ascensori, nuovi bolloni adesivi ti indicano dove fermarti, quante persone possono entrare (una per volta), parlanti nel silenzio assordante di stanze e corridoi bui dove una volta sentivi chiacchiere, risate, telefonate, litigate. 

Dove c'era vita.

Il pomeriggio sono tornata a casa, ho riacceso il pc aziendale, ho ricominciato a parlare con un monitor e non con le persone con cui lavoro, senza poterle guardare in faccia, bevendo in solitaria il caffè.

Tra pochi minuti inizierò il mio 144 giorno di telelavoro, da una sala che ha l'aspetto di un campo di battaglia, un pc sul tavolo, accanto una macchina per cucire e montagne di mascherine, le teglie fuori dal forno perché ormai si panifica tutti i giorni o quasi, il tappettino e i pesi per le braccia perché anche il fisico vuole la sua parte, la tv, il pc personale, un giornale, montagne di ricami avviati, un microcosmo multifunzionale integrato, concentrato in una ventina di metri quadrati.

Niente tornerà come prima.

1 commento:

  1. post bellissimo. situazione tristissima.
    io sto a casa con la dad, e mi mancano terribilmente i miei studenti. vederli sullo schermo è bruttissimo, non è la stessa cosa...... voglio stare in classe con loro, in quello spazio fisico in cui si crea un'alchimia speciale fra professoressa e studenti...niente tornerà come prima. è vero. questa sofferenza ce la porteremo dietro.

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