Globalizzazione ma anche pendolarismo

"Sei lontana da Codogno?"
Ieri mi sono sentita rivolgere più volte questa domanda. La risposta è nì, nel senso che Codogno sta a sud di Milano, io abito a nord-ovest e a Milano ci lavoro.
Ma.
Ma io non lavoro da sola, non mi sposto con la macchina, continuo a frequentare, anche per necessità, luoghi affollati. E come me, i miei figli, i miei colleghi, gli altri pendolari che condividono i ristretti spazi dei treni e degli altri mezzi pubblici. E come questi, sicuramente i loro famigliari, i loro compagni di classe, i loro colleghi.
Abito "lontana" da Codogno ma se il coronavirus si è manifestato negli ultimi due giorni, vuol dire che il contagio è avvenuto dai quindici ai ventiquattro giorni fa.
Potrei essere stata contagiata anche io, anche se non vado al ristorante cinese né ho avuto contatti consapevoli con extracomunitari appena sbarcati sulle coste italiane.
Mi fa paura? Un po' sì, come tutte le malattie infettive che mi possono togliere l'autonomia e l'indipendenza, mi fa paura per l'incolumità dei miei figli.
Posso chiudermi in casa finché anche l'ultimo contagiato non sarà più contagioso perché guarito o morto? No, non in questa società globalizzata e itinerante ma soprattutto subdola e scorretta.
Perché io mi chiedo se il cosiddetto paziente zero, l'untore iniziale di manzoniana memoria, rientrante dalla Cina, abbia o meno taciuto la sua provenienza dopo che la notizia è esplosa sui media. E con lui chissà quante altre persone.
Ora scusate, finisco di tossire e vado a prendere il treno.